Volontario soldato semplice Lancieri Aosta 1907
GIORGIO MORIGI, ovvero : Una
vita straordinaria
“…e il cuore di rincalzo” (motto coniato dal Generale Morigi per la Nembo)
Parte prima (1907-1939)
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Giorgio Morigi, nato a Forlì il 17 marzo
1889 ma da sempre riminese d’adozione e per affetti, non poteva certo
immaginare a quali destini la vita lo avrebbe consegnato allorché, nel lontano 26
ottobre 1907, si presentò volontario per il servizio militare chiedendo di
entrare, con ferma di 3 anni, in un reparto prestigioso: i Lancieri di Aosta.
L’amore per i cavalli e l’equitazione lo avevano infatti indirizzato sin da
quella giovane età alla vita militare verso quella particolare arma –la
cavalleria- che all’epoca certamente affascinava le menti più avventurose, stimolava
i cuori più intrepidi, ispirava poeti e pittori e, perché no, accendeva i cuori
di legioni di sognanti fanciulle. A cosa poteva aspirare di più un temperamento
così ardimentoso?
Sta di
fatto che quella scelta forse romantica ma certo determinata da una già precisa
volontà di emergere segnerà poi, come vedremo, tutto il corso della sua
esistenza.
Morigi
presta quindi servizio come soldato semplice in quel reparto fino al 1908, per
esser nominato in quell’anno caporale e nell’anno successivo caporal maggiore e
poi sergente e sergente maggiore finché nel 1911 transita nel Reggimento Lancieri
di Novara e poi nel 1913 nel Genova Cavalleria, con il grado di sottotenente.
Lo
stesso giorno dell’entrata in guerra dell’Italia , il 24 maggio del 1915, il
Reggimento Genova Cavalleria, di cui Morigi si onora in quel momento di essere
il portastendardo, guada il fiume Piave entrando in territorio dichiarato in “istato di guerra”. Ma quelle prime fasi
(né le successive, per la verità, destinate a fossilizzarsi in una logorante
guerra di posizione) non prevedono
azioni a cavallo né le travolgenti cariche tante volte immaginate, tanto che il
reggimento viene appiedato e Morigi viene destinato al 30° e poi nel 23°Rgt
Artiglieria da campagna, al servizio del quale riceve i gradi da tenente nel
luglio del 1916. Ma tale attività lontana dalle prime linee del fuoco mal si addice
allo spirito del giovane tenente che, come altri ufficiali di cavalleria
impazienti di entrare a contatto diretto col nemico -come d’altronde lo spirito
della cavalleria insegna ed impone- fa domanda per entrare nel corpo aviatori,
la nuova specialità che tanto affascina i più intrepidi.
Comandato quindi al Corpo aviatori nel febbraio del 1917, partecipa dapprima come osservatore sui biplani Caproni nel corso di azioni di bombardamento sulla Bainsizza e sulle basi navali di Pola e Cattaro.
Aeroporto di Gioia del Colle,5 ottobre 1917 Il
Tenente Morigi, gli Ufficiali piloti Nardi e Silvani e il corrispondente di
guerra Giorgio Cevenini del Corriere della sera, dopo il lungo volo per il
bombardamento della base navale austriaca di Cattaro (per questa azione il Tenente Morigi fu decorato con medaglia di bronzo al VM)
Nel gennaio del 1918 con
il grado di capitano, viene destinato al fronte francese finalmente prendendo
parte direttamente ai combattimenti sui fronti della Lorena e dello Champagne,
rimanendo ferito nell’abbattimento del suo aereo colpito da un caccia tedesco e
guadagnandosi nell’agosto del 1918 la croce di guerra francese con palme,
raramente concessa a personale non nazionale (dato il noto sciovinismo dei
cosiddetti cugini d’oltralpe). Questa
è peraltro solo la quarta delle decorazioni ricevute nel corso di quella
guerra: A Morigi erano infatti già state conferite due medaglie d’argento al
V.M. (per le azioni sull’altipiano della Bainsizza e su Pola -agosto 1917-
nonché per le azioni nei cieli della Lorena e dello Champagne-luglio 1918-) ed
una di bronzo (per la partecipazione alle azioni sulle bocche di Cattaro,
nell’ottobre del 1917).
Finita la guerra rientra in Italia dove, come
Comandante di Squadrone, transita nei Reggimenti Genova Cavalleria, Lancieri di
Milano, Lancieri di Novara fino a che lo spirito di avventura e la sfida con sé
stesso e con il mondo non lo spinge a chiedere di esser inviato in Libia. Parte
così per la Tripolitania imbarcandosi a Siracusa e sbarcando a Tripoli“Bel suol d’amore”, come diceva la
strofa della vecchia canzone , il 15 febbraio del 1925. (1)
E’ da questa data che, a mio avviso,
comincia la parte più affascinante ed avventurosa della vita del nostro Eroe; e
rivivendola con l’aiuto delle splendide fotografie conservate spero di far
partecipare anche chi leggerà queste mie note della malìa di quei luoghi, del
fascino di quei popoli allora lontani e di quel mal d’Africa che certamente doveva pervadere l’animo di tanti
nostri connazionali se ancora oggi, solo per scriverne, si insinua
prepotentemente anche in me e mi stringe come un nodo lo stomaco, come un
indefinibile ed inspiegabile ma pur fisicamente percepibile senso di irrazionale
nostalgia di paesaggi non visti, di indefinibili e non mai provate sensazioni,
di immagini esotiche e di impossibili struggenti ricordi di eventi non vissuti
sulle ali dello slancio di grandi ideali e di generose illusioni, nella amara consapevolezza
che invece sono ormai perduti per sempre .
Morigi
resterà in Africa per 15 anni, alternando il servizio coloniale con rare
licenze ed alcuni richiami per comandi in altri Reggimenti nazionali di
cavalleria, ma nel frattempo acquisendo una straordinaria esperienza di comando
e di uomini. Fra quelle truppe fedelissime ed affezionate, il grado non è
quello indicato dalle mostrine, si conquista sul campo, con il coraggio e
l’esempio; con la severità e con l’umanità; e per quel “capo” ammirato e rispettato i gregari sono disposti a tutto, come
dimostreranno le travolgenti cariche in testa alle quali Morigi condurrà i suoi
savari , i suoi meharisti o le sue penne di
falco, ovunque ve ne sia il bisogno guadagnandosi in terra d’Africa la
promozione a Colonnello per merito di guerra, una Croce al Merito, un’altra Medaglia
d’argento ed un’altra Medaglia di bronzo al Valor Militare e guadagnando per i
suoi uomini la fama imperitura di cavalieri intrepidi e coraggiosi.
Il 7° Squadrone Savari sosta ad un pozzo (Bir Gheddakia) per l’abbeverata
Il
Capitano Morigi con i graduati del 7° Savari
Per
tre anni Morigi guida il 7° Savari cavalcando romanticamente fra le fascinose dune
del deserto libico e le oasi lussureggianti con compiti -di controguerriglia-
che porta sempre felicemente a termine spesso con iniziative esclusivamente
proprie stante la distanza dai comandi centrali e la non infrequente
impossibilità di raggiungerli o di riceverne ordini in tempi compatibili con le
necessità dell’azione per la difficoltà dei collegamenti radio.
Tripolitania (Bir Gheddakia) Ottobre 1925 Il Capitano Morigi con gli ufficiali e i graduati del VII Squadrone Savari
Nel
1928, su sua domanda, chiede di esser definitivamente trasferito nel Regio
Corpo Truppe Coloniali della Cirenaica restando a disposizione del Ministero
delle Colonie che gli affida il comando del 3° squadrone Meharisti, reparti
ancora più suggestivi sia per le cavalcature (sono infatti montati su alti
dromedari di razza mehara, animali
particolarmente adatti nelle zone desertiche per le doti di grande velocità e
resistenza ) sia per le coreografiche monture: turbante di tela bianca, grande
mantello blu indaco (burnus) con
sgargianti bordure e cappuccio con elegante nappa finale, camicione e pantaloni
molto larghi, alla turca, vistosa fascia alla vita (rossa per la Tripolitania,
nera per la Cirenaica), singolari calzature che paiono emergere dai racconti
delle Mille e una notte, armati del
fedele moschetto ’91 corto TS (per truppe speciali) e delle temibili ricurve
sciabole personali (guradè) il cui
porto è d’insopprimibile loro tradizione (3).
Cirenaica 1928 Ritratto del Cap. Morigi in tenuta da Meharista
Al comando di tale affascinante reparto, venerato dai suoi uomini con i quali per abitudine ha un rapporto di rude familiarità, Morigi percorre in lungo ed in largo il deserto libico all’inseguimento di ribelli e predoni, avendone sempre ragione.
Ma se affascinante è la vita nel deserto
sahariano, ancor più straordinarie sono le vicende occorse al Capitano Morigi,
nel frattempo rientrato in Patria con l’incarico di comando del Gruppo
Squadroni del Rgt. Cavalleggeri Saluzzo e passato al grado di Maggiore,
allorché, data la sua esperienza con le truppe coloniali, nell’ottobre del 1936
viene destinato a ricoprire il ruolo di
Comandante del III Gruppo Squadroni della 6a Brigata Indigeni, nel Regio Corpo
Truppe Coloniali d’Eritrea (le celeberrime “Penne
di falco”) (4)
Penna di falco dello Squadrone Indigeni d’Eritrea
Al suo arrivo il Gruppo, di stanza in Asmara, viene
subito destinato nell’alto Scioa, nella zona del cinque fiumi, anche qui per
combattere residue sacche di ribelli trattenendovisi per cinque lunghi mesi
durante i quali Morigi ed i suoi arditi si distinguono nella carica di Zingerò
Uaha (in quella occasione il nostro Eroe merita il conferimento di altra
medaglia di bronzo al Valor Militare per aver personalmente condotto in testa
ad un gruppo dei suoi ascari una carica per contrastare un attacco improvviso
alle spalle del reparto, con gravissimo rischio personale, ma travolgente
successo) .
Ma
l’epico episodio che intendo ricordare con qualche maggior dettaglio per
suscitare definitivamente (così come ha suscitato in me) l’immaginazione di chi leggerà queste note è
quello di un’altra famosa carica, per la quale a Morigi fu conferita altra
medaglia d’Argento al V.M.: la carica di Monte Tigh, il 28 marzo del 1938, alla
guida del IV Gruppo Squadroni Cavalleria Coloniale che Morigi aveva costituito
il 1 aprile del 1937 con i resti dei reparti reduci dalle campagne contro i
ribelli.
Quel giorno, nella zona di Monte Tigh, nel
Goggiam, territorio impervio in gran parte circondato dal Nilo Azzurro e
percorso ancora da bande di guerriglieri, una colonna dell’XI Brigata
Coloniale, al comando del Ten. Col. Lorenzini, traversato il Nilo su un ponte
di barche gettato dal Genio nella zona di Safartac, viene improvvisamente
attaccata da una formazione di un migliaio di uomini del noto capo ribelle
Bellai Zellechè, che intende bloccare la via d’accesso a Debra Marcos. A pochi chilometri caracolla in
perlustrazione il IV gruppo, agli ordini del Maggiore Morigi che però ha già
udito il crepitare della fucileria ed è sull’avviso. Un portaordini lo
raggiunge chiedendo disperatamente aiuto. Morigi non perde tempo; gli squadroni
partono a trotto allungato e poi al galoppo sfrenato. Superano di slancio le
posizioni tenute dalla Brigata e Morigi , che alla loro testa si è reso subito
conto della situazione critica in cui la Brigata versa, fa un cenno d’intesa a
Lorenzini, sorpreso di tale impeto, e fra i sibili delle pallottole che lo
sfiorano prosegue al grido di “Savoia!”,
trascinando con sé l’intero gruppo sulla piana di due chilometri che li separa
dalle posizioni dei ribelli . L’azione è talmente irruente che Morigi, spronata
allo spasimo la sua cavalcatura, supera d’impeto le prime linee nemiche che
sono travolte da questa incontenibile ondata; poi, temendo che alcuni
guerriglieri stiano per posizionare nuove armi automatiche, chiama a raccolta gli
uomini che gli sono vicini e dirige verso altro punto d’attacco finendo però
per trovarsi isolato ed in gravissimo pericolo. In suo soccorso accorrono il S.ten.Giovanni
Thun Hohenstein (5) ed il Sergente
Maggiore Gattino, ma il sottotenente, che non ha voluto armarsi di pistola ed
ha caricato brandendo la sola sciabola, viene fulminato da un colpo a
bruciapelo sparato da un ribelle, immediatamente inchiodato al suolo dalla
picca del gagliardetto brandita dallo “sciumbasci”
(6) dello squadrone che l’ha appena raccolta
dalle mani del portagagliardetto, rovinato al suolo perché il suo cavallo è
stato colpito ed è morto (7).
I ribelli
sono disorientati; non riescono a far fronte a tale seconda improvvisa carica e
ne vengono nuovamente travolti e dispersi con gravissime perdite. Alla fine
dello scontro si contano i caduti: gli Ascari morti sono 30 ed altrettanti i
feriti, ma fra gli Abissini si contano ben 300 morti, e due mitragliatrici e 200 fucili
ne sono il frutto.
Etiopia Goggiam 28 marzo 1938 : il IV Gr:sq. dopo la carica di Monte Tigh
Di cariche di questo tipo la storia della
cavalleria coloniale è piena. Se la carica del Monte Tigh, per quanto
riconosciuto dal Comando Superiore della FF.AA.di Addis Abeba, aveva risolto la situazione nel Goggiam dal
Nilo a 100 km al di là di Debra Marcos, la carica di Tullù Dintù, il 20 luglio
del 1939, condotta sempre dal IV Gruppo squadroni e dalla banda a cavallo “Auasc” della PAI (8) assegnata per l’occasione al Colonnello Morigi di rinforzo, costitui’
l’azione culminante del ciclo operativo nell’alto Scioa. Questa altra epica
carica fu ricordata anche dall’inviato del Corriere della Sera, Dino Buzzati
(che aveva voluto parteciparvi dopo esser stato sapientemente istruito dallo
stesso Morigi a montare un cavallo lanciato al galoppo) in un bellissimo,
struggente racconto contenuto nel libro “Cronache terrestri”(Mondatori Ed.) dedicato
al suo attendente, “L’Ascari Ghilò, leone,”
ucciso in quello scontro. E per l’esito di questa travolgente carica ed il
coraggio e la perizia dimostrata nell’occasione e nelle innumerevoli precedenti
Morigi ottenne la promozione sul campo a Colonnello per merito di guerra. E’
con la motivazione di questa promozione guadagnata sul campo che mi piace
quindi chiudere questa prima parte del racconto sulla vita del nostro Eroe,
assicurando i lettori che la seconda parte del racconto riserverà non minori
sorprese.
“ Comandante di Gruppo Squadroni di
cavalleria prodigò sempre la sua fede e le sue energie nella preparazione degli
uomini che guidò con insigne valore in più combattimenti contro forti nuclei di
ribelli. Con il sua animato comportamento di Comandante capace, cavaliere
coraggioso, animatore e trascinatore, determinò più volte la sconfitta
dell’avversario infliggendogli perdite sanguinose, catturando armi e munizioni.
Esempio costante di elevato spirito di sacrificio, piena dedizione al dovere.
Monte Tigh 28.3.1938; Eggerè 29.3.1939, Tullù Dintù, 20.7.1939”
Nota 1 : Una prima campagna italo-turca si svolse fra il 1912 ed il 1914.
Interrotta per il sopravvenire dell’impegno nella Grande Guerra, la campagna
riprese sotto il governo Fascista, che la concluse felicemente nel 1928 finendo
poi per realizzare in pochi anni in Libia assai di più di quanto mai dalla
Libia avesse ricevuto.
Nota 2 Si può comprendere come per questi figli del deserto, abituati a vestirsi di poveri panni e di vivere del poco che quella terra o i magri armenti potessero loro offrire, l’esser arruolati in un corpo nazionale, tanto più se prestigioso come un corpo di cavalleria, dovesse costituire di per sé un enorme “balzo di qualità”, migliorando la loro vita sotto ogni aspetto. Se a ciò si aggiunge l’ammirazione che le popolazioni semplici sono portate naturalmente a nutrire per un capo coraggioso, il quadro è completo. Si comprende quindi perché, nonostante la pubblicistica del poi, in realtà gran parte di quelle popolazioni avessero visto la presenza italiana come una insperata fortuna ed un privilegio l’esser ammessi a far parte dell’Impero come cittadini di pieno diritto, e come e perché quei nostri bravi soldati assai poco ricordati fossero invece pronti a sacrificarsi per i loro comandanti e per il Tricolore, come in effetti fecero per tutto il corso degli eventi bellici fino a che l’incontenibile potenziale bellico alleato li ridusse per sempre al silenzio ricacciandoli nelle originarie condizioni di miseria e sfruttamento nelle quali, invece, versavano e continuarono a versare le popolazioni soggette all’ impero coloniale delle altre nazioni europee cosiddette liberatrici.
Nota 3 Oltre alle numerose decorazioni conferite a singoli meharisti, i gagliardetti dei gruppi Sahariani furono decorati con quattro medaglie di bronzo e quattro croci di guerra al Valor Militare distinguendosi in particolare nella conquista delle oasi di Cufra e Giarabub, la cui successiva perdita nel corso della IIGM verrà celebrata dalla famosa e struggente canzone “La saga di Giarabub” (“Capitano non voglio pane, voglio piombo pel mio moschetto…..”)
Nota 4 : “Penne di Falco” fu il soprannome dato allo Squadrone Esploratori Indigeni a cavallo, creati fin dal tempo della prima Campagna Italo Etiopica del 1887-1888. Amati di moschetto,sciabola indigena e lancia erano caratterizzati soprattutto dal bel copricapo a forma di tronco di cono (tarbusc) ornato da una lunghissima penna di falco (adottato nel 1890 per i due Squadroni Asmara e Cheren poi sciolti per confluire nel Regio Corpo Truppe Coloniali dell’Eritrea nel 1902) e da decorative fasce bicolori, al tarbusc ed in vita, che ne contrassegnavano il reparto di appartenenza
Nota 5: Per tale azione fu conferita al giovane sottotenente, erede di una nobile famiglia trentina, la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria
Nota 6: Un pensiero vada anche ai cavalli, sin dall’albore della storia incolpevoli e fedeli anche nelle più disperate cariche.
Nota 7: Sottufficiale indigeno
Nota 8: PAI: Polizia Africa Italiana
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