Notte del 10/11 febbraio 1918 : L
Siamo trenta d’una sorte,
e trentuno con la morte.
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte
e la morte paro a paro.
Alalà
! (Gabriele D’Annunzio, marzo 1918)
Così
recitano i primi travolgenti versi della “Canzone del Quarnaro” che D’Annunzio
scrisse nel trigesimo dell’impresa di Buccari cui aveva egli stesso partecipato
aggiungendo all’eroismo dell’impresa portata a termine da trenta ardimentosi
anche la beffa, col lasciar galleggianti
nella rada spericolatamente violata tre
bottiglie sigillate con nastri tricolori, ciascuna contenente un biglietto di
sfida che certo dovette bruciare agli attoniti austriaci più dell’affondamento del piroscafo che i
siluri dei MAS erano riusciti a centrare.
Ed è a quei trenta uomini che questo racconto è dedicato sia perché protagonisti di una fra le più clamorose azioni delle
marine di tutti i tempi, e quindi tutti quanti meritevoli di imperitura
memoria, sia perché fra quei temerari possiamo orgogliosamente annoverare due
personaggi legati al nostro territorio: Edmondo Turci della vicina Sant’Ermete (frazione del Comune di Santarcangelo di Romagna) e Virginio Gaddoni, riminese d’adozione.
Edmondo Turci a fianco del primo di uno dei due motori da 260 cv realizzati dalla Isotta Fraschini per dotarne i primi Motoscafi Anti Sommergibile (MAS). Turci era stato comandato per scortarne il trasporto dalla sede della fabbrica fino a Venezia.
Virginio Gaddoni nasce a Massalombarda il 17 dicembre 1895 ma la famiglia si trasferisce a Rimini quando lui ha appena pochi mesi. E’ quindi un concittadino a pieno titolo. Abbandona presto gli studi per andare “a bottega” da un fabbro per poi qualificarsi come aggiustatore meccanico e si trasferisce a Torino dove viene assunto alla FIAT. Chiamato alle armi nel 1915, frequenta un corso di specializzazione per motoristi della Marina ed è primo su 120 aspiranti. Passa alle basi di Portoferraio e poi a Venezia, come motorista dei M.A.S. la cui sigla, a quel momento, riflette ancora quella meramente tecnica di “Motoscafi Anti Sommergibile” corrispondente al primo utilizzo per il quale questi piccoli mezzi veloci erano stati ideati (1). Nei primi anni di guerra prende parte a numerose azioni (tanto che verrà poi decorato con una prima Croce di Guerra al Valor Militare “perché imbarcato sui MAS partecipa a numerose imprese di guerra ed agguati nelle acque nemiche dimostrando sempre buone doti militari e marinaresche”) ma l’azione che segnerà per sempre la sua vita, anche per il rapporto di amicizia poi stretto con Gabriele D’Annunzio, è certamente quella ricordata dalla Storia come “La Beffa di Buccari”, che val certo la pena di ricordare insieme.
E’ innanzitutto da dire che la guerra per
mare, nell’Adriatico, assume fin da subito una caratteristica particolare. Gli
Italiani hanno chiuso con sbarramenti di ogni sorta il Canale di Otranto,
vigilato anche da navi di superficie, sottomarini, e dalla prima delle squadriglie
dei MAS (costituita nel gennaio del 1916) al comando del Tenente di Vascello
Alfredo Berardinelli –comandante in seconda, Ten. di Vascello Gennaro Pagano di
Melito- che da Venezia (dove si costruiscono
i MAS) viene trasferita nel basso Adriatico, a Brindisi e che si
adopera per dar grattacapi al nemico violando ripetutamente il vigilatissimo
porto di Durazzo ed affondandovi ripetutamente navigli (Lokrun, Galizia,
Serajevo). La potente flotta austriaca è
così costretta a poche uscite in squadra, non riuscirà mai ad entrare in
Mediterraneo e, salvo i primissimi giorni di guerra durante i quali costeggiò il
litorale adriatico bombardando alcune città fra le quali Rimini, per rispondere
ad un’incursione che
L’Ammiraglio Thaon di Revel, Capo di SM della Marina, ha subito intuito che in tal situazione a poco vale predisporre piani strategici in vista di scontri delle flotte in alto mare perché la flotta austriaca non pare propensa a prendere il largo. Meglio, allora, dar credito all’idea dell’Ing. Attilio Bisio, Direttore del Cantiere Navale di Venezia, che ha proposto di costruire barche armate, veloci e nello stesso tempo idonee a sopportar vibrazioni e brusche manovre, agili per incursioni e per vigilanza delle coste, inizialmente pensate per la caccia ai sommergibili e talmente minuscole da non costituire facile bersaglio.
Così, dopo che la prima squadriglia MAS ha dato tanta buona prova di sé al sud, ecco formarsi la seconda squadriglia, comandata dal Capitano di fregata Costanzo Ciano, audace marinaio che non teme nulla e nessuno.
Gaddoni
e Turci ne fanno parte quali motoristi , una delle specializzazioni che date
le dimensioni e caratteristiche dei
mezzi è fra le più dure. Si pensi che il vano motori, sottocoperta, è un
locale angusto, stretto fra i due potenti motori -da 260 cv l’uno- realizzati dalla Isotta
Fraschini. A volte succede che le pompe che comprimono l’aria nei serbatoi per
consentire l’afflusso regolare del carburante si guastino (quello dei guasti
ai motori è un problema che spesso emergeva e naturalmente nei momenti più
delicati; e allora la vita di tutti dipendeva proprio dai motoristi, che
dovevano saper presto e bene riparare l’avaria) ed i motoristi debbono
sopperire pompando a mano con l’energia, l’accanimento ininterrotto e la vigorosa
lena che il caso richiede.
In quel piccolo ambiente viene a mancare l’aria,
i vapori dell’olio combusto e della benzina seccano la gola, il rumore è
assordante nonostante le cuffie portavoce che devono consentire di udire gli
ordini trasmessi da un piccolo tubo flessibile collegato con l’esterno, e
quindi non possono riparare le orecchie più di tanto; lo sforzo è tremendo. Le pompe non possono esser lasciate un attimo.
Capita che i motoristi (ed a Gaddoni e Turci capitò) venissero a volte raccolti
esanimi dopo che in un rientro precipitoso accompagnato dalle cannonate
austriache sono rimasti per ore a pompare freneticamente,
senza che i comandanti sapessero dei loro immani, silenziosi sforzi .
Avviene quindi che sul finire del 1917 viene
segnalata all’Ammiragliato la presenza di una grossa nave da guerra ed alcuni
piroscafi nella baia di Buccari.
Buccari
si trova al fondo del golfo del Quarnaro, dove l’Adriatico si insinua fra le
coste orientali dell’Istria e l’isola di Cherso (Canale della Faresina) e
giunge a bagnare Fiume; la piazzaforte di Porto Re è vicina e le sue potenti
batterie vigilano sull’imboccatura della baia
e sul canale Maltempo, che separa la terraferma dall’isola Veglia; in
caso di allarme, dalle piazzeforti di Pola e di Lussino possono uscire in tempi
rapidissimi le torpediniere austriache e per tagliare ogni eventuale uscita dal
golfo; è ignoto quanti sbarramenti si
dovranno superare, fra torpedini (mine sommerse), cavi d’acciaio, catene tese
fra galleggianti e scogli; siamo,
quindi, in pieno e munitissimo territorio nemico; le coste che i nostri
dovranno sfiorare a poche decine di metri brulicano di artiglierie, postazioni
di mitragliatrici, posti di guardia; entrare in quel golfo è quindi come
infilare una mano in un vespaio.
Gli austriaci si sentono sicuri; ma
Thaon
di Revel ordina a Ciano di predisporre un piano per un’incursione. Gli si
affianca il Capitano di Corvetta Luigi Rizzo, che è soprannominato
“l’affondatore” per aver già mandato ai pesci, nel dicembre appena passato, la
corazzata “Wien” violando il porto di Trieste, ove la corazzata era ormeggiata (3).
Vengono armati tre MAS, scelti fra i più veloci, il 94, il 95 ed il 96. Persino D’Annunzio, che ben conosce l’ardimento dei “Masisti” e che ha già visto Turci a Brindisi all’epoca del forzamento del porto di Durazzo, chiede ed ottiene di far parte dell’impresa. L’obiettivo viene tenuto segreto fino all’ultimo momento. I marinai (10 per equipaggio) se lo vedono arrivare la mattina della partenza. Si rivolge a loro con un discorso che inorgoglisce ed infiamma, da par suo, che val la pena di riportare per intiero :
Marinai, miei compagni, questa
che noi stiamo per compiere è un’impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro
timoniere più fido. Perciò non conviene un lungo discorso a muovere in voi un
coraggio che è già impaziente di misurarsi con il pericolo ignoto. Se vi
dicessi dove andiamo, io credo che non vi potrei tenere dal battere una
tarantella di allegrezza. Ma avete certo indovinato dalla cera del vostro
Comandante, che questa volta getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il
suo fegato è il nostro; andiamo laggiù a ripigliarlo. Siamo un pugno di uomini
su tre piccoli scafi. Più dei motori possono i cuori. Più dei siluri possono le
volontà; e il vero treppiede della mitragliatrice è lo spirito di sacrificio.
Da poppa a prua, ordegni ed armi, vigilanza e silenzio, niente altro. La notte
è senza luna e noi non invochiamo le stelle. V’è una sola costellazione per
l’anima sola:
All’unisono,
quasi uno scoppio liberatorio dopo tale appello, gli uomini e i comandanti
prorompono in un unico grido : “Lo giuriamo! Viva l’Italia! “ E allora
D’Annunzio consegna ciascun marinaio una
bandierina tricolore -come disse- :”non più grande di un cuore umano”, a
rappresentare la comunione di ciascun partecipante con lo spirito della Patria. La promessa è questa: si torna tutti o nessuno!
Tutti tornano, o nessuno.
Se
non torna uno dei trenta
torna
quella del trentuno,
quella
che non ci spaventa,
con
in pugno la sementa
da
gittar nel solco avaro
Alalà
!
Ecco il testo del messaggio che D'Annunzio pose nelle tre bottigliette adorne di nastro tricolore, lasciate per sfida a galleggiare nella rada violata da quegli ardimentosi
E’
il pomeriggio inoltrato del 10 febbraio. E’ già scuro e le torpediniere hanno
trainato i MAS , che devono risparmiare carburante per le molte miglia (quasi
90 !) da percorrere in territorio nemico, sino all’imboccatura del canale della
Faresina, dove si era incagliato il sommergibile “Giacinto Pullino”, al comando
del martire istriano Nazario Sauro catturato ed impiccato dagli austriaci.
Durante
Una delle 31 bandierine. Se ne può comprendere l'importante rarità ed il grande valore storico;
Ma passiamo all’azione: E’ mezzanotte; gli
sbarramenti sono stati superati con ore di lavoro, nel più assoluto silenzio. I
proiettori che sciabolano costantemente le acque non hanno individuato i tre minuscoli scafi. Nei vani motori dei rispettivi MAS Gaddoni (che è sul 95), Turci e gli altri motoristi grondano sudore e
faticano a respirare. Si azionano i motori elettrici dei quali i MAS sono
dotati per le fasi più delicate, quando operano sottocosta; ma il ronzio è
inevitabile nonostante i già angusti vani siano stati “insonorizzati” con
materassi che riducono ancor più il poco spazio a disposizione. Si passa sotto
Porto Re, imboccando la baia di Buccari che in quel punto è larga sì e no
Nel 1960 Gaddoni organizzò proprio a Rimini un raduno dei superstiti pro erezione di un monumento a Gabriele D’Annunzio, che poi non si fece. A Gaddoni, cui la Marina intitolò poi la caserma di Fano, fu concessa una prima medaglia di bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Facente parte dell’equipaggio di unità sottili che eseguirono un audace attacco al naviglio nemico nella lontana a munita Baia di Buccari, si distingueva per sereno ardimento”(10-11 febbraio 1918). Appena nel maggio successivo veniva nuovamente decorato con medaglia di bronzo al valor Militare “per aver partecipato con abnegazione, sereno coraggio e fervido entusiasmo al forzamento della piazza forte nemica di Pola” e per altre azioni parimenti ardimentose ottenne anche tre Croci di Guerra al Valor Militare.
Nel
più recente dopoguerra, molto si impegnò nella città, dedicando la sua vita di
pensionato alla poesia dialettale ed allo sviluppo delle Associazioni
combattentistiche. Si spense a Rimini il 3 novembre 1964.
Gaetano D. Rossi, Segr. ARIES
1) Inizialmente la sigla stava per Motobarca Armata Svan
(dal nome della fabbrica veneziana che li produceva)
2) In due episodi la potente flotta Imperiale, uscita in squadra (due corazzate oltre a una decina di CT di scorta)una prima volta per appoggiare l’avanzata austriaca verso Venezia colpendo dal mare con le potenti artiglierie di cui disponevano, le più modeste batterie dei Reggimenti di Marina, impiegate a terra (Cortellazzo) e la seconda volta per tentare di forzare lo sbarramento di Otranto, venne messa in fuga dai piccoli, temutissimi MAS al comando di Ciano ( 16 novembre 1917) e Rizzo, che a Premuda (10 giugno 1918) riuscì a centrare con due siluri la corazzata “Santo Stefano” causandone l’affondamento. A tale clamorosa azione ed a tale data è legata la istituzione, nel 1939, della festa della Marina Militare Italiana.
3) Il 10 dicembre del 1917 il MAS 9, al comando del tenente di
Vascello Luigi Rizzo, riuscì a
superare, avvalendosi delle cesoie idrauliche in dotazione, gli sbarramenti posti
a difesa del porto di Trieste (precedenti esperimenti condotti con singolari mezzi ”saltatori” quali il “Grillo”,
*****
Due rarissimi cimeli a suo tempo donati dalla famiglia di Edmondo Turci alla Biblioteca di Santarcangelo di Romagna ed ivi conservati. Il dirigente della Biblioteca li affidò, mostra per mostra, al Segretario di ARIES perché fossero mostrati e se ne illustrasse la storia avvincente. Furono così esposti nelle cinque diverse mostre allestite da ARIES sulla Grande Guerra fra il 2014 ed il 2018. Si tratta di una delle 31 bandierine donate da D'Annunzio una per ciascun componente degli equipaggi , portanti la firma del Vate e l'acronimo da lui stesso ideato in quella indimenticabile notte fra il 10 e l'11 febbraio 1918 : Memento Audere Semper; il vessillo blu -con le sette stelle dorate ("guidone") che rappresentano la costellazione dell'Orsa Maggiore-, veniva invece montato a prua del MAS 96, donato a D'Annunzio dopo la guerra e col quale navigava sul Garda, avvalendosi di Edmondo Turci, come amico e motorista speciale. E' quindi simbolo ed emblema di un'altra delle famosissime imprese dannunziane (si pensi anche al volo su Vienna!) : la presa di Fiume (1919-1920), concepita e realizzata per orgogliosa patriottica ritorsione a fronte del mancato rispetto di patti segreti (patto di Londra,1915) sulla scorta dei quali l'Italia era stata convinta ad entrare in guerra nel maggio di quello stesso anno al fianco delle potenze alleate denunciando un precedente patto stipulato con Germania ed Austria. A guerra finita e vinta fu invece negata all'Italia (la c.d. "vittoria mutilata") l'acquisizione(in precedenza concordata e assicurata) dell' Istria e di parte della Dalmazia.

Da sinistra Luigi Rizzo, Gabriele D'Annunzio, Costanzo Ciano,
in una foto scattata al rientro dall'Impresa.
TUTTI I PARTECIPANTI
IL PRIMO EQUIPAGGIO.
Il capitano di fregata COSTANZO CIANO da Livorno.
Il capitano di corvetta LUIGI RIZZO da Milazzo.
Il volontario motonauta ANGELO PROCACCINI da Mestre.(m. 12.4.1982)
Il capotorpediniere GIUSEPPE VOLPI da Viareggio.
Il sottonocchiere BENEDETTO BELTRAMIN da Donada. (m. 25.10.1973)
Il marinaio scelto GIUSEPPE CORTI da Ponza.
Il fochista scelto EDMONDO TURCI da S.Ermete (S.Arcangelo di Romagna).
Il fochista MENOTTI FERRI da Massa Fiscaglia.
Il torpediniere ACHILLE MARTINELLI da Montalcino.(m. 13.2.1967)
Il volontario marinaio GABRIELE D'ANNUNZIO da Pescara d'Abruzzi.
IL SECONDO EQUIPAGGIO.
Il tenente di vascello PROFETA ODOARDO DE SANTIS da Chiusi.
Il capotimoniere GINO MONTIPÒ da Sas suolo. (m. 27.12.1961)
Il capotorpediniere ARTURO MARTINI da Napoli.
Il marinaio scelto SALVATORE GENITIVO da Favignana.
Il marinaio RAFFAELE ESPOSITO da Conca Marini.
Il cannoniere scelto GALLIANO FURLANI da Fano.
Il torpediniere ONIGLIO CALZOLARI da Pitelli.
Il fochista scelto ANTONINO MACALUSO da Palermo.
Il fochista VIRGILIO GADDONI da Massa Lombarda. (m. 3.11.1964)
Il torpediniere VINCENZO GAGGERI da Casale Monferrato. (m. 13.12.1978)
IL TERZO EQUIPAGGIO.
Il sottotenente C. R. E. ANDREA FERRARINI da Mantova.
Il capotimoniere VINCENZO LAZZARINI da Viareggio.
Il sottonocchiere EMILIO DAVIDE da Finalmarina.
Il marinaio PAOLO PAPA da Trapani.
Il sottocapo torpediniere CESARE DAGNINO da Sestri Ponente.
Il sottocapo torpediniere DOMENICO PICCIRILLO da Vietri sul Mare.
Il cannoniere scelto UMBERTO BIANCAMANO da Gallipoli.
Il cannoniere scelto ANGELO RITTORE da S. Bartolomeo del Cervo.
Il fochista SAVERIO BADIALI da Spezia.
Il fochista MARIO ALLEGRETTI da Terni.
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